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Lessico
La parola nuova della settimana avrŕ una colorazione diversa dal restante testo.
avánnu (avv.): quest'anno
bbufirína (f.): topolino che vive in casa
bbufirína 'i térra: topo campagnolo
cafuddrŕri (v.): sferrare il colpo, picchiare qualcuno o qualcosa
cánciri (pron. chianciri) (v.): piangere
u mórtu nzinna (pron. nzigna) a cánciri
(quando ci si trova in emergenza, si fa automaticamente ciň che non si era mai nemmeno lontanamente pensato di fare)
unn'aviri mánku l'occi (pron. occhi) pi cánciri (essere privi di tutto)
carŕccia (f): maschera brutta e anche, per estensione, volto brutto
casčna (f.): ripostiglio incavato in un muro
ccanári (pron "cchianari") (v.): salire; avere in mano una briscola superiore a quella segnalata dal compagno; salire le scale
ccanári u skalúni: migliorare la propria condizione sociale
cíkira (pron scikira), (f.): tazzina
cíppu (m.): vite, pianta di vite. fari cíppa : potare la vite lasciando integri i tralci migliori per una successiva potatura
circúki (pron. scirsciuki) (agg.): inzuppato d'acqua o di sudore
mentri vinía u piggáu l-ákkua e rriváu c.
ddammággu (pron. ddammagghiu) (m.): danno materiale
fari (o kumminári) dd. : rompere o guastare oggetti vari
ddimurári (v.): ritardare, tardare a venire
ddumari (v.): accendere, adirarsi, perdere le staffe
kuannu ci dissi sta kósa, ddumáu
filáru (m.): filare di viti
filínia (f.): ragnatela
fúsu (m.): asse verticale girevole del frantoio e del mulino tradizionali
gána (f.): grande voglia di fare qualcosa.
senza gána: svogliato
ki-ggana ki á!: modo di dire con cui si rimprovera a qualcuno la smania di fare cosa decidamente inopportuna e riprorevole,
o anche, ironicamente, la scarsa disposizione a fare una dta cosa
gŕrca (f.): appezzamento di terreno ampio e quadrangolare
gghičbbia (f.): vasca in muratura per depositarvi acqua
ggugguléna (pron. giuggiulena) (f.): sesamo
girgéra (f.) (pron. ghirghera): angolo o striscia di terreno accidentato, pietroso e sterile
gráda (f.): rudimentale cancello di legno che chiude il vano di accesso dalls trada a un fondo rustico
háma (f.): fango, fanghiglia, impasto fluido di terra ed acqua che si forma naturalmente con la pioggia
iénniru (m.): genero
fari ku na figga tanti iénniri: promettere in regalo o in vendita una cosa a piů persone contemporaneamente
inzólu (m.): lenzuolo
kakaréddra (f.): diarrea
a kakaréddra du mis-i máiu: pioggerelline frequenti del mese di maggio
kamurría (f.): seccatura, fastidio
sí na kamurría!
kannatéddru (m.): dolce pasquale costituito da un uovo dipinto in viola o in rosso (oggi giorno si usano anche gi ovetti Kinder), adagiato
su una sfoglia di pasta smerlettata e guarnita con piccoli confetti e glassa. I K. venivano dati come strenna ai ragazzi
di parenti ed amici intimi che nella mattinata del giorno di Pasqua si recavano a fare gli auguri di circostanza.
óvu a-kkannatéddru: uovo sodo
karkannáta (pron. carcagnata) (f.): colpo dato col calcagno
karvuncu (pron. carvunciu) (m.): foruncolo.
supa váddrira u karvuncu, modo di dire proverbiale per sottolineare che ad un male se ne aggiunge un altro (guai sopra guai)
khamiŕri (v.): attizzare il fuoco nel forno
khaměu (m.): esca che si sminuzza in mare per attirare i pesci
kiddíri (m.): fastidio, disturbo, incomodo.
ti dunnu kiddíri? : forse ti disturbo?
a st-úra un-si va a-ddari kiddíri ai kristiáni: non č questa l'ora di andare a disturbare le persone a casa
kuadára (f.): caldaia in rame dove, mentre bolle una soluzione di acqua e potassa, s'immerge lo zibibbo prima di metterlo a seccare al sole
kuaggáta (f.): cagliata
kuaggátu (pron. quagghiatu): bonaccia assoluta, spesso caratterizzata da aria stagnante e afosa
avíri u sannu k.: sentirsi raggelare il sangue per lo spavento o per una forte emozione
kuffínu (m.): grossa cesta adibita soprattutto per il trasporto dell'uva
ku fa um-panáru fa un k.: chi č disonesto nelle piccole cose lo sarŕ pure nelle grandi
kuppínu (m.): ramaiolo
kurókku (m.): gancio di legno o di ferro. Arnese a tre uncini adoperato per ripescare il secchio caduto nel fondo della cisterna.
lapardéu (m.): persona avida, bramosa, quasi rapace
érnu mmunziddráti komu tanti lapardé
lurdía (f.) : sporcizia
lunniúsu (agg.): che trascina le cose per le lunghe; noioso e prolisso nel raccontare
maniári (v.): maneggiare, toccare con le mani; muovere, spostare; darsi da fare; sbrigarsi.
mánnira (f.): branco di capre o di pecore
mánzu (agg.): mansueto, docile (di equino); calmo (di persona solitamente irascibile); la parte della pianta in cui č stato praticato l'innesto
mararétta (f.): piccolo appezzamento di terreno coltivato di forma generalmente quadrata
mazzúni (m.): piccolo fascio di sarmenti (mazzun-i sarménti)
fari mazzúni: barare (al gioco della carte)
ménnula (f.): mandorla
ménza (f.): le ore 12-30 o 00-30
minéci (f.): lentiggini
mmatikáta (f.): temporale con vento impetuoso, tempesta
mpaggáta (pron. mpagghiata), (f.): fiasco
munciuniári (v.): gualcire una stoffa o un foglio di carta; palpare lascivamente una ragazza
náska (f.): naso schiacciato con le narici dilatate; naso grosso o comunque deforme. avír-a únu supä náska: avercelo con uno e tollerarlo
malvolentieri. náska fina: odorato fine.
ngangarěa (f): pretesto, contestazione stupida e capricciosa, tipica di chi non sa stare al gioco, o ai patti
nkarrikátu (di sáli) (agg.): di cibo con molto sale
nkassári (pron. ncasciari) (v.): chiudere la porta o altra imposta con una energica spinta;
ci nkassáu a porta n facci: gli sbattč la porta in faccia.
núna (f.): donna cui si attribuisce la capacitŕ di fare il malocchio
orallánnu (avv.): l'anno scorso
pallunáru (m. e agg.): fanfarone, chi le spara grosse
pérca (pron. percia) (f.): arco di ferro fissato al fúsu del mulino o del frantoio delle olive per far girare la macina; corda o fil di ferro per stendere la biancheria ad asciugare; corda tesa tra i due lati di un angolo della stanza, alla quale venivano appesi indumenti, non disponendo le famiglie povere di un armadio.
pirtúsu (m.): foro, buco. fari pirtúsu: riuscire
pitňpiti (m. e f.): semplici irrequietezze, primo stadio di molestia infantile
rrikríu (m.): godimento, guaio (iron.). ki rr. ddra fímmina
rrivérsa: (f.): il rovescio di un tessuto o di un indumento. a rrivérsa
in senso contrario, non per il verso giusto
rrufuliŕri (verbo): il turbinare del vento
rruncátu (pron. runciatu) (agg.): raggrinzito, della pelle; rugoso, della faccia o della fronte; sgualcito, di stoffa
rrunniári (v.): gironzolare, bighellonare, stare continuamente in giro
unni ti nniísti a rrunniári?
rrunnéru (agg.): bighellone, che sta continuamente in giro
sarménta (f.): sarmento
mmucciar-u látru suttë sarménti: tentare di nascondere una cosa fin troppo evidente
sarvággu (pron. sarvagghiu) (agg.): spontaneo, non coltivato (di pianta); selvatico (di animale); scontroso, intrattabile (di persona)
scurŕta (f.): sera
sgriccári (pron. sgricciari) (v.): schizzare, zampillare, ad esempio del latte che esce con furia dalla mammella della vacca o della capra durante la mungitura
sícca (pron. siccia) (f.): seppia. Nel gioco del biliardo, lassári una síccia vuol dire lasciare all'avversario una situazione svantaggiosa
siddriári (v.): seccare, annoiare, infastidire
síggiri (pron. sigghiri) (v.): riscuotere del denaro
skannaliátu (agg.): duramente scottato dopo un'esperienza negativa
skapulári (v.): uscire dal campo visivo di qualcuno; non essere piů visibile. skapuláu darré ddra kantunéra: č scomparso dietro quell'angolo
skardári (v.): squamare il pesce. Avemu kazzi 'i s.! abbiamo brutte gatte da pelare
skuadáta (f.): tipo di biscotto a forma di anello cotto al forno dopo l'immersione in acqua bollente
skuitári (v.): disturbare, infastidire, molestare. lássimi stári, um-mi sskuitári
spasélla (f.): cesta per il pesce
spunnári (v.): sfondare, deflorare una ragazza
ddra picciotta era spunnâta
striggáta (pron. strigghiata) (f.): lavata di capo
ci desi na str.!
sůccula (f.): asse di legno o ferro, a movimento verticale, atta a serrare porte, finestre e cancelli
suvircaría (f.): soperchieria
sucircúsu (agg): ingiusto, troppo esigente, che pretende piů del giusto
tartěsa (f.): piccola pietra, ciottolo
tŕiu (m.): impasto di terra ed acqua, usato come malta nelle costruzioni rustiche. Il Notaio D'Aietti, nel suo "Il libro dell'Isola di Pantelleria" parla di una vera e propria Epoca del Taiu, iniziata con la rovina di Cossira (anno 440) e finita con l'occupazione bizantina, nel 533 circa, quando riprpesero i traffici con la terraferma. Il taiu veniva utilizzato per la copertura dei tetti dei dammusi
taliári (v.): guardare, specie con interesse o atteggiamento indagatore.
talía!: sta attento a quel che fai.
e-ttalía!: ma guard un po'!
tiróta (f.): verga pieghevole per fare panieri o canestri.
verga per picchiare o per cacciare l'asino (Luciana sostiene che servisse anche per "far ragionare" i bambini monelli!
trappítu (m.): torchio per la spremitura delle olive macinate e delle vinacce
trippiári (v.): saltellare, ruzzare (di puledri, capretti o bambini)
uncári (pron. uniciari) (v.): gonfiare
mi sta uncánnu: mi stai infastidendo
váddrira (f.): ernia, spugna marina
vallíri (m.): barile
virkóku (m.): albicocco
zzaguliári (v.): agitare, oscillare, dondolarsi sull'altalena
zzíga (f.): sparzio (pianta spontanea delle leguminose)
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